In questa domenica, nelle chiese si legge un passo del Vangelo, che mi sembra particolarmente attuale: “Quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace” (Lc 14,31s.).
Gesù si rivolge a coloro che lo stanno seguendo, entusiasti per i miracoli che egli compie. Non sarà sempre così, verrà il giorno del sacrificio, della croce. “Fate bene i vostri conti”, sembra dire, “io non sono quel Messia vittorioso, al quale siete abituati a pensare”. Poco prima, ha parlato di un uomo che vuole costruire una torre, ma non ha calcolato bene la spesa, così che ci rimane a metà e il popolo, che non perdona, lo sbeffeggia.
La cosa che mi colpisce è che, comunque, tutti e due, il costruttore imprevidente e il re poco realista, dovrebbero rendersi conto di essere “carenti”, mancanti di forze e di mezzi che assicurino un ragionevole successo. La situazione del mondo d’oggi vede sulla scena tanti personaggi che presumono di controllare gli eventi, con risultati perlomeno discutibili. Anche noi, però, non siamo spettatori neutrali: soffriamo della medesima malattia, che è una malattia spirituale, un virus annidato nel profondo e inguaribile, sempre pronto a riattivarsi: la superbia.
Dobbiamo essere onesti con noi stessi e riconoscere che nessuno di noi sfugge a questo pericolo, tanto più prossimo, quando siamo rivestiti di un qualche potere o se abbiamo disponibilità di denaro. Gli effetti della superbia sono rovinosi: “Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra!” (Lettera di Giacomo 4,1s.). La cura consiste anzitutto nel riconoscere la malattia; perché allora andremo, con sincerità e costanza, alla ricerca della medicina, che è il “timor di Dio”: “Principio della sapienza è il timore del Signore” (Prov. 9,10). La sapienza è la capacità di valutare le situazioni, di “fare i conti”, di rendersi conto dei nostri difetti, delle necessità altrui. Tutto questo però viene dal “timore del Signore”, che non è la paura del servo, ma la costante ricerca della volontà di Dio. Gesù è il nostro maestro e guida; questo significa il suo invito a “seguirlo”.
In realtà, egli fa di più. Non è solo un maestro che dà l’esempio, altrimenti, i sacramenti e in particolare l’Eucaristia, sarebbero superflui. Egli è medico e medicina, è l’albero buono al quale siamo innestati e del quale condividiamo la linfa. Ma anche il nostro comportamento verso le persone diventa diverso. Dovremo, per esempio, chiedere costantemente scusa a chi ci è affidato, perché il rischio della prevaricazione aumenta, quando, come dicevo, c’è di mezzo il potere.
La città di Reggio Emilia festeggia, l’otto settembre, la sua patrona, la Beata Vergine della Ghiara. Nel suo cantico, il Magnificat, Maria dice che “Colui che è potente” ha guardato alla povertà della sua serva. Ai due presuntuosi della parabola che ho citato all’inizio, si contrappone la figura della Vergine. Ella ci appare come segno di pace, di accoglienza e di perdono. Comprendiamo anche l’importanza di chiederle di custodire e rendere sempre più costante e pura la nostra preghiera. La preghiera serve anzitutto a noi, per metterci nella posizione giusta, davanti a Dio ma anche davanti alla storia. Faremo meno danni e quello che costruiremo sarà magari piccolo, ma accogliente e pacificante.
07 settembre 2025 don Giuseppe Dossetti