“I cieli narrano la gloria di Dio”, dice il Salmo 19. Avrei una proposta da fare ai grandi della terra: andate in un osservatorio astronomico e chiedete quante sono le galassie dell’universo. Vi diranno: “Centinaia di miliardi”. E quante stelle ci sono in una galassia? “Ancora, centinaia di miliardi”. Chiedete anche quanto durerebbe un viaggio verso le stelle più vicine: anche viaggiando alla velocità della luce, la nostra vita non sarebbe sufficiente. Perché allora questo spettacolo incredibile? Solo per noi, spettatori confinati in un piccolo angolo dell’universo? E’ mai possibile credere che questo spettacolo sia stato organizzato soltanto per noi? Non ne sappiamo nulla, e le ipotesi di altre forme di vita nello spazio sembrano talvolta tentativi di razionalizzare l’assurdo.: è mai possibile questo enorme sciupio, per parlare a una creatura, che considera già eccezionale raggiungere i cento anni di vita? Possiamo non credere all’esistenza di un Creatore, ma almeno rendiamoci conto, come dice Pascal, della miseria e grandezza dell’uomo. La grandezza dell’uomo sta nel pensiero, dice sempre il grande filosofo francese: col pensiero, siamo in grado di raggiungere i confini di un mondo che non riusciremo mai a visitare.
Perché allora fare la guerra, se siamo così piccoli? perché non accettare il messaggio che ci rivolge l’abisso che ci circonda? Perché non riconoscere la dignità dell’uomo, di ogni uomo?
Le assurdità non finiscono qui. Ammettiamo che esista un Dio creatore: egli è certamente più grande della sua opera. Eppure, egli desidera avere un rapporto stretto, di comunione, con ciascuno di quegli atomi, che siamo noi. Non solo, ma egli si fa carico anche del male, del quale la sua creatura si rende responsabile. Non castiga il peccatore, ma dice esplicitamente: “Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva” (Ez 18,23). Non solo: egli prende talmente sul serio il rapporto con l’uomo, così da rinchiudersi nel corpicino di un bimbo e poi di caricarsi del peso di una morte atroce, ma non per castigare, bensì per dare spessore e verità al nome col quale vuol essere chiamato: “Padre”. “Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre, per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente”, scrive l’apostolo Giovanni (1Gv 3,1).
Anche questa è un’assurdità, che ripugna ai nostri criteri di giustizia. Vogliamo l’Inferno, per gli altri, ovviamente, per rimediare col castigo eterno alle malvagità, verso le quali siamo impotenti. Ma forse anche questa è una razionalizzazione, il tentativo di rendere meno scandaloso l’assurdo di un Dio, “che non è venuto a cercare i giusti, ma i peccatori”, quelli veri, che fanno le guerre, che stuprano e corrompono.
Dobbiamo accettare che il Dio di Gesù ami anche i membri della lista che ciascuno di noi porta con sé, per maledire. Diremo allora che l’Inferno non esiste, che la misericordia divina varchi limiti più grandi di quelli che separano le galassie? L’inferno esiste ed è la massima rivendicazione della grandezza dell’uomo, che può resistere fino all’ultimo istante all’amore di Dio. Ma la sproporzione rimane e noi ci appelliamo ad essa, per essere annunciatori di speranza.. In questo giorno, dedicato a tutti i santi. Si dice, nella visione dell’Apocalisse: “Vidi una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua”. Essi “sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello” (Apoc 7). Non si possono contare gli eletti, perché nessuno conosce veramente la storia di ogni uomo, nel suo rapporto con il Tu, che si affaccia inevitabilmente al suo cuore. Mi piace ricordare l’incontro tra Dante Alighieri e Manfredi d’Altaviulla, all’inizio della salita del Purgatorio. Manfredi era uno dei grandi del suo tempo: “Io mi volsi ver’ lui e guardail fiso: biondo era e bello e di gentile aspetto, ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso….Orribil furon li peccati miei; ma la bontà infinita ha sì gran braccia, che prende ciò che si rivolge a lei…”.
La festa dei Santi è la festa di un’amicizia spirituale, per la quale non valgono i confini, neppure quello della morte. Ma è principalmente la festa del perdono e della grazia, la festa di un Dio, innamorato della sua creatura.
01 novembre 2025 don Giuseppe Dossetti