“Prima la forza, poi la pace”. Così Netanyahu ha commentato l’attacco statunitense ai siti nucleari iraniani. Si rischia di essere d’accordo con lui e con il cancelliere tedesco Merz, che qualche giorno fa diceva che Israele sta facendo il “lavoro sporco, del quale beneficiamo anche noi.
Il male seduce. La via della seduzione è proprio la forza, unita alla propaganda, sempre più raffinata e capace di nascondere le menzogne o di utilizzarle a proprio vantaggio, come fece il Segretario di Stato Colin Powell nel 2003, con la famosa provetta, che rappresentava le “armi di distruzione di massa”, che Saddam Hussein in realtà non possedeva, ma che diventarono comunque la giustificazione della guerra all’Iraq. Ora, l’urgenza di intervenire da parte degli Stati Uniti e di Israele viene giustificata, asserendo che l’Iran era vicinissimo a dotarsi dell’arma atomica. Allora fu il direttore dell’ Agenzia delle Nazioni Unite, lo svedese Hans Blix, a contraddire le affermazioni americane. Il suo successore Rafael Grossi ha avuto meno coraggio, perché solo adesso, con contorti giri di parole, sostiene di non aver mai detto che l’Iran fosse prossimo a dotarsi della Bomba. Non mancano altre incoerenze, come l’uccisione, da parte di Israele, due giorni prima degli incontri in Oman, del capo negoziatore iraniano. “La nostra forza sia legge della giustizia, perché la debolezza risulta inutile” (Libro della Sapienza 2,11): così pensano gli empi, DICE LA Sacra Scrittura.
Resta comunque la domanda, come resistere? Che fare, per contrastare il male?
La domanda se la sono posta Gesù e i suoi discepoli. Anche allora, il potere romano era assoluto, capace di schiacciare ogni forma di dissenso. Il cartello, posto da Pilato sulla croce di Gesù, è un’ evidente irrisione e un ammonimento alle teste calde: guardate come finisce chi si proclama re; dove sono le dodici legioni di angeli che l’Uomo, coronato di spine, afferma di potere, ma di non volere mobilitare? (Mt 26,53)? L’unica preoccupazione dei potentati di secondo rango è quella di essere “amici di Cesare”: “Se liberi costui, dicono i capi del popolo al governatore, non sei amico di Cesare. Chiunque si fa re si mette contro Cesare” (Gv 19,13).
Eppure, Gesù afferma di essere re, di essere portatore di un messaggio, che interpella tutti, anche Cesare. Qual è dunque la via alternativa alla forza delle armi e della propaganda?
L’alternativa che Gesù propone è un pezzo di pane e poche gocce di vino, che rappresentano il suo corpo e il suo sangue, offerti e donati a tutti. La pretesa è che sia lui il vincitore, che sia lui il Rising Lion, il leone rampante, simbolo della tribù di Giuda e ora nome dato all’attacco all’Iran. Certo, Gesù viene annunziato, nella grande liturgia celeste, come un leone: “Non piangere; ha vinto il leone della tribù di Giuda” (Apocalisse 5,5). Ma chi appare davanti al trono di Dio, per ricevere il dominio? “Vidi un agnello, in piedi (“rising”, appunto), come immolato”, sgozzato, ma vivente.
Quanto più il male sceglie la via della forza, tanto più, chi vuole resistere, deve scegliere la via della piccolezza. L’ostentazione della forza ha un effetto consapevolmente voluto, di bloccare l’azione, di dichiarare vana ogni forma di resistenza. Ma “chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome, perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa”(Mc 9,41). Nel quotidiano, nei piccoli gesti di pace di ogni giorno troviamo lo spazio per l’azione.
Di questa piccolezza fa parte anche la preghiera. Prima di tutto, per resistere alla propaganda, per conservare la libertà dello spirito. Ma c’è qualcosa di più. Il Risorto appare a Maria Maddalena, perché ella resiste, certo piangendo, vicino alla tomba di Gesù. Questa perseveranza viene premiata dall’incontro col Maestro; ella diviene l’”apostola degli Apostoli”, testimone e annunciatrice che Gesù ha inaugurato nel suo sangue una via nuova e vivente (Ebr 10,20). Questa è la via, che nessuno potrà toglierci, almeno finchè continueremo a celebrarla nella Messa.
24 giugno 2025 don Giuseppe Dossetti