233^ lettera alla comunità al tempo della conversione
Mille e settecento anni fa, nell’anno 325, nella città di Nicea, vicina alla capitale dell’impero, poco tempo dopo la fine delle persecuzioni contro i cristiani, Costantino convocò il primo Concilio ecumenico, cioè universale, al quale parteciparono 318 vescovi, in prevalenza delle regioni orientali. Infatti, una controversia era nata attorno alle dottrine di un prete di Alessandria in Egitto, Ario, che sosteneva che il Figlio di Dio, esistente dall’eternità e incarnato in Gesù, non era veramente Dio, ma il vertice dell’essere, sottomesso al Padre e sua creatura, benché superiore a tutti gli altri esseri, che per mezzo suo erano stati creati. Ario dipendeva dalle dottrine neoplatoniche del grande filosofo Plotino, per il quale l’essere aveva un ordine gerarchico, una specie di scala, i gradini della quale dovevano essere saliti da chi cercava la sapienza: ci si doveva liberare dalla materialità, per essere in grado di arrivare all’esperienza mistica della fusione con l’Uno. A questa dottrina si opposero il vescovo di Alessandria, Alessandro, e il suo successore Atanasio, che difendevano l’unità delle Persone della Trinità, “un solo Dio in tre persone”. Costantino non era un teologo, ma non voleva mettere a rischio l’unità della Chiesa. Per questo, sposò la formula che proclamava il Figlio “della stessa sostanza del Padre”, formula che veniva dall’Occidente e che lasciava perplessi gli Orientali, soprattutto perché le parole usate non si trovavano nelle Scritture. Le controversie durarono parecchio tempo, anche perché gli imperatori furono spesso favorevoli a formule “subordinazioniste”, per le quali l’obbedienza di Gesù al Padre indicava una sua inferiorità di rango nella Trinità. Le controversie durarono fino al secondo Concilio ecumenico, tenutosi a Costantinopoli nel 381. Il riavvicinamento tra oriente e occidente era stato favorito da un grande Padre della Chiesa, Basilio di Cesarea.
Tutto questo sembra a noi, appunto, un “bizantinismo”, una congerie di sottigliezze che non hanno alcuna rilevanza per il nostro tempo e i suoi problemi.
Le cose stanno diversamente. Anzitutto, va respinta l’accusa, che spesso viene fatta ai vescovi di Nicea, di “aver ellenizzato il Cristianesimo”, alterando quanto viene detto dalle Sacre Scritture. In realtà, chi ellenizzava il Cristianesimo erano Ario e i suoi seguaci. Contro di loro, vennero inserite nella professione di fede due formule, delle quali la più importante è la prima: il Figlio è “generato, non creato”. Con queste piccole parole viene spezzata la scala neoplatonica: si arriva a Dio non perché si sale, ma perché Lui scende. L’abisso tra il Creatore e il cosmo viene superato non dalla filosofia ma dall’amore: con l’Incarnazione, con Gesù, Dio rende accessibile la propria “sostanza”, cioè la sua piena realtà, non in modo transitorio, come con i profeti,ma per un amore eterno e un dono irreversibile.
Non trascuriamo però gli aspetti politici di questa controversia. Può sembrare strano, ma la visione della Trinità ha delle conseguenze che perdurano anche nel nostro mondo secolarizzato.
Non è un caso che gli imperatori del quarto secolo siano stati in prevalenza filoariani. L’arianesimo fornisce al potere una perfetta immagine e un’efficace legittimazione. Infatti, l’ordine gerarchico del cosmo diviene il modello della gerarchia del potere. L’imperatore è il vertice, e sotto di lui sono disposte le varie classi sociali. Cambiare quest’ordine sarebbe in ultima analisi un atto contro Dio.
Ma quest’ordine è statico. Le differenze sono canonizzate. Al contrario, nella perfetta uguaglianza delle persone nella Trinità ortodossa, si trova il fondamento dell’uguale dignità di ogni uomo. A Nicea, nasce la democrazia.
Dio Padre, continuerà ad essere proclamato “Pantocrator”, onnipotente; ma sarà più conveniente ormai raffigurarlo come pastore buono, con la pecorella in braccio o sulle spalle. La sua onnipotenza è quella dell’amore, che sa aspettare e che rispetta la libertà di noi suoi figli, ribelli, ma portatori della nostalgia della casa paterna.
25 maggio 2025 don Giuseppe Dossetti