“CHE FARE?”


             Il tempo che stiamo vivendo rischia di generare in me lo sconforto. Mi sento prigioniero di forze maligne, contro le quali non c’è rimedio. Il sentimento di impotenza cresce, di fronte alla guerra, di fronte all’agitarsi di apprendisti stregoni, che rischiano di scatenare forze che non sapranno dominare. In aggiunta, poi, la domanda che mi mette in discussione come discepolo di Gesù: Dio. dov’è? Ha nascosto il suo volto? Possiamo dire che non meritiamo la sua misericordia. Questo è vero, verissimo: ma allora essa non è infinita, e papa Francesco si è sbagliato.

            Apro il Vangelo e mi viene proposto un testo, che conosco bene, ma che oggi ha un sapore nuovo. Un uomo, probabilmente un fariseo, cioè una persona che osserva la legge, magari con impegno e sacrificio, chiede a Gesù: “Sono pochi quelli che si salvano?”(Lc 13,23). Probabilmente, egli si aspetta una conferma, da parte di Gesù, dei meriti, acquisiti con le sue buone opere, che possiamo credere compiute con sincerità e zelo.

            Gesù non risponde: la sua prospettiva è diversa, egli è venuto per tutti, per i poveri, per i peccatori; non può approvare che gli uomini siano classificati secondo regole, che diventano spesso motivo di compiacimento e di superbia. Però, su un punto si trova d’accordo con il suo interlocutore: l’ingresso nel regno dei cieli richiede uno sforzo, una lotta. La parola greca è molto forte, agonìzein.

L’agòn è la lotta per vincere una gara sportiva che impegna fino al limite delle forze o, ancora, un duello, una lotta per la vita o per la morte.

            E’ strano: siamo abituati a pensare che il nemico sia la nostra pigrizia, le nostre cattive abitudini. Ma se l’impegno che ci viene richiesto non è nel campo morale o in quello della generosità, dell’altruismo, allora in che cosa consiste la lotta alla quale il cristiano o anche l’uomo, ogni uomo, secondo le leggi della vita o magari di quel regno di Dio, che non sappiamo bene in cosa consista, ma che certamente è incontro, perdono, pace, gioia?

            Ho trovato un piccolo libro, che mi ha illuminato. E’ stato scritto da un vescovo vietnamita, Nguyen Van Thuan, arrestato dal governo comunista e lasciato in carcere per tredici anni. Egli parla del suo sconforto, quando l’arresto lo ha separato, da un’ora all’altra, dalle sue opere, da tutto quello che con entusiasmo, generosità e successo, aveva realizzato prima come prete poi come vescovo.

            “Mentre mi trovo nella prigione di Phu-Kanh, in una cella senza finestra, fa caldissimo, soffoco, sento la mia lucidità venir meno pian piano fino all’incoscienza; talvolta, la luce rimane accesa giorno e notte, talvolta è sempre buio; c’è tanta umidità che crescono dei funghi sul mio letto. Ho visto un buco in basso nel muro, per far scorrere l’acqua: così, ho passato più di cento giorni per terra, mettendo il naso davanti a questo buco per respirare … Una notte, dal profondo del mio cuore, ho sentito una voce che mi suggeriva: Perché ti tormenti così? Tu devi distinguere tra Dio e le opere di Dio; tutto ciò che hai compiuto e desideri continuare a fare, tutto questo è un’opera eccellente, sono opere di Dio, ma non sono Dio! Se Dio vuole che tu abbandoni tutte queste opere, mettendole nelle sue mani, fallo subito e abbi fiducia in lui. Dio lo farà infinitamente meglio di te; lui affiderà le tue opere ad altri che sono molto più capaci di te. Tu hai scelto Dio solo, non le sue opere!”.

            Penso che sia questo l’agòn, la lotta spirituale alla quale siamo chiamati, tutti, anche se in forme meno drammatiche. Per esempio, quando si invecchia o quando ci si ammala; vedere la riduzione o la perdita delle forze come una provocazione a consegnarsi, sapendo che nulla si perde. E “il Signore è accanto a me, come un eroe forte”, dice il profeta Geremia (20,11), dal fondo della prigione nella quale è stato gettato. L’esempio dei fratelli maggiori ci conforti.

24 agosto 2025                                                                     don Giuseppe Dossetti