Provo soltanto un grande sentimento di gratitudine. Non riesco a rattristarmi per la morte di Papa Francesco: egli è il servo buono e fedele, del quale parla il Vangelo, che adempie all’incarico affidatogli dal suo padrone, ma rimane vigile per ascoltare il rumore dei suoi passi, per accoglierlo e consegnargli non solo l’opera, ma la persona dei suoi fratelli.
“Tutto è compiuto”: sono le ultime parole di Gesù, ma anche Francesco, a mio parere, le può fare proprie. Quello che egli doveva fare per la Chiesa, lo ha fatto. Può fare sue le parole dell’apostolo Paolo, che scrive, nell’ultima sua lettera: “La mia vita sta per essere versata in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione” (2Tim 4,6-8.).
Ecco: mi sembra che si sia trascurata un po’ la dimensione dell’attesa, caratteristica della vita cristiana; l’ultimo insegnamento del Papa coincide con quello del Santo del quale porta il nome. Poco prima della sua morte, san Francesco aggiunse al Cantico delle Creature la strofa “Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale”. Come è stata umana la risposta di Papa Bergoglio a chi gli chiedeva se avesse paura della morte! Ha detto che un po’ di paura l’aveva, ma che lo rasserenava il pensiero della misericordia divina.
La misericordia, per lui, è stata più di un sentimento: ha significato mettere la persona al centro, accompagnarla nel suo cammino, accogliendola in qualsiasi punto si trovasse, per camminare insieme.
Due parole sue mi rimangono nel cuore. La prima, “Come desidero una chiesa povera per i poveri!”. La seconda, “Vorrei una Chiesa ospedale da campo”, una Chiesa “in uscita”. E’ la Chiesa del Concilio Vaticano Secondo. Era il desiderio, l’utopia, lo slancio talvolta ingenuo di noi, che allora eravamo giovani. Ho vissuto il suo pontificato come lo sgorgare di un’acqua ancora fresca, custodita nel cuore della Chiesa.
Qualcosa, però, è stato nuovo, nel suo ministero. Era cosciente che il mondo non aveva più un centro, come ancora pensavamo nel 1962. Soprattutto non lo era l’Europa; credo che egli abbia sofferto per questo. Lo ha consolato, come ha consolato noi, la risposta di Benedetto XVI a un giovane, nel raduno dei giovani italiani a Loreto, nel 2007, e che andrebbe riletta integralmente. Il centro è Gesù Cristo: nel rapporto con lui viviamo la certezza di non essere abbandonati, per quanto critica, e talvolta drammatica sia la nostra situazione.
Credo che l’amore di Papa Francesco per i poveri sia legato a questa esperienza. I poveri ci portano più vicino al Signore; la Chiesa ha bisogno dei poveri più di quanto i poveri abbiano bisogno di lei.
Grazie, Papa Francesco.
26 aprile 2025 don Giuseppe Dossetti