“LA RADICE PORTA TE”


237^ Lettera

               “Dico la verità in Cristo, non mento, e la mia coscienza me ne dà testimonianza nello Spirito Santo: ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua. Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. Essi sono Israeliti e hanno l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli”(Rm 9,1-5).

               Paolo sta per recarsi a Roma, presso quella comunità, formata prevalentemente da pagani convertiti. Ma della comunità fanno parte anche degli ebrei, che hanno riconosciuto in Gesù il Messia promesso. Essi però non riescono a liberarsi del tutto dai vincoli rituali e alimentari del giudaismo e per questo i cristiani provenienti dal paganesimo facilmente li disprezzano. Paolo ammette il problema: perché solo pochi ebrei hanno aderito alla predicazione? Non è forse questo un fallimento di Dio? O non conviene liberarsi una volta per tutte dai lacciuoli del legalismo?

               Per Paolo, l’incredulità di gran parte di Israele è fonte di grande dolore, come dice aprendo la riflessione dei capitoli 9-11. Egli afferma il ruolo di Israele nella vita della Chiesa. C’è una radice santa, l’Israele di Abramo e dei patriarchi. In questo olivo buono sono innestati i rami dell’oleastro, che però vivono della linfa del tronco nel quale sono inseriti. Egli scrive alcune frasi di straordinaria potenza, che dovrebbero por fine a ogni antisemitismo: “Ricordati che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te” (11,18). E più avanti: “Essi (gli ebrei, tutti) sono amati a causa dei padri; infatti i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili”(Rm 11,28s.).

               Noi abbiamo bisogno della radice santa di Israele. Ma come è possibile che Israele sopravviva a quello che sta succedendo a Gaza e in Medio Oriente? Perché di questo si tratta, come dice Anna Foa, intitolando il suo libro, “Il suicidio di Israele”. Israele potrà vincere questa e altre battaglie: ma potrà adempiere alla sua vocazione, quella promessa da Dio ad Abramo: “In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra”(Gen 12,3)? Il santo nome di Dio viene bestemmiato, perché  sta divenendo non nome di vita, ma di morte.

               Anche se si volesse accettare il principio della vendetta per la strage del 7 ottobre, come è possibile che Gaza sia stata trasformata in un enorme campo di morte, nel quale si spara contro della gente in coda per un po’ di cibo? Si dice pubblicamente che l’obiettivo (il cosiddetto “piano dei generali”) sia mettere i palestinesi di fronte all’alternativa di lasciare la loro terra o di morire, di fame o di proiettili. Ogni principio umanitario, ma anche legale, è disatteso, quando si mette in atto una punizione collettiva di un popolo intero o quando si opera una pulizia etnica, non solo a Gaza, ma anche in Cisgiordania, dove violenze, furti di terreni e di greggi,, intimidazioni di ogni genere, vengono esercitati nei confronti della popolazione araba, con lo scopo anche qui di favorirne l’esodo.

               Per salvare l’onore di Israele bisogna cercare là dove la grande informazione raramente si interessa. Esistono gruppi misti, palestinesi e ebrei, che cercano di opporsi alla politica del governo. Un’associazione di ebrei, presente nei villaggi arabi a sud di Hebron (dove si trova la tomba di Abramo!), sta lottando contro l’esodo forzato di quasi tremila contadini e pastori arabi che saranno cacciati dai villaggi che abitano da sempre, perché l’esercito ha bisogno di un campo di addestramento per i suoi artiglieri: una motivazione strumentale e illegale.

               La guerra con l’Iran ha aperto un altro fronte e pone nuovi interrogativi. Quando il cancelliere tedesco Merz afferma che Israele sta facendo il “lavoro sporco”anche a nostro vantaggio, mi chiedo: Su cosa si fonda l’Unione Europea? Ancora una volta, la risposta non è “nel vento”, ricordando la canzone di Bob Dylan, ma è nel cuore dell’uomo. Io prego per tutti gli attori di questa tragedia; ripeto, per tutti: non voglio mettere Dio nell’imbarazzo di scegliere a chi dar retta.

22 giugno 2025                                                                      don Giuseppe Dossetti