Parlavamo, la volta scorsa, della necessità di un “ritorno a noi stessi”, per ricostruire l’interiorità dell’uomo. Siamo abituati a vivere fuori di noi, forse perché abbiamo paura di guardarci allo specchio. Con questo atteggiamento, però, diventiamo facilmente accusatori degli altri e portiamo il nostro contributo alle divisioni e agli odi; diventiamo violenti o consenzienti alla violenza. Vorrei oggi indicare due vie, che sono state e sono importanti per me, per rifare un mondo interiore che ispiri pensieri e atteggiamenti di pace.

              Il primo passo mi sembra essere l’onesta conoscenza di noi stessi e delle “passioni” incontrollate

che inducono al male e alla violenza. Mi è caro un testo dell’apostolo Giacomo: “Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra!” (Gc 4,1-2). Le passioni sono l’invidia, l’avidità e, soprattutto, la superbia. Esse sono presenti in ciascuno di noi, come un virus che diviene innocuo solo se lo si riconosce e lo si controlla, con farmaci che possono essere, ad esempio, l’umiltà, la compassione, la ricerca della verità.

              Diagnosi e terapia valgono per tutti, anche per chi non è credente. C’è un passo ulteriore, che presuppone la fede in un Dio personale. Lo strumento per questo passo è il Libro dei Salmi, il libro di preghiera di Israele, di Gesù e della Chiesa. Esso è un grande dialogo dell’uomo con quel Tu, che, per una misteriosa ragione, lo rincorre e lo assedia: “Alle spalle e di fronte mi circondi e poni su di me la tua mano … Dove fuggire dalla tua presenza? Se salgo in cielo, là tu sei, se scendo negli inferi, eccoti. Se prendo le ali dell’aurora per abitare all’estremità del mare, anche là mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra” (Sal 139). Penso che anche in chi si considera non credente ci sia il combattimento con un avversario negato e forse spesso ricercato.

              Fare dei Salmi la propria guida spirituale è tutt’altro che facile. Essi vogliono plasmare il nostro mondo interiore in una forma che non di rado rifiutiamo, la forma del “figlio”, come spesso Israele chiama se stesso; l’israelita Gesù porterà alle estreme conseguenze questo titolo, dal quale ne derivano altri due, quello di “Padre”, per il Tu che è l’orizzonte della sua vita, e quello di “fratello”, che inevitabilmente compete a ogni uomo, anche a coloro che lo crocifiggono. C’è una via per tutti, anche per Putin: “Egli non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe. Perché quanto il cielo è alto sulla terra, cos’ la sua misericordia è potente su quelli che lo temono … Come è tenero un padre verso i figli così il Signore è tenero verso quelli che lo temono”; questo padre è compassionevole: “Egli sa bene di che siamo plasmati, ricorda che noi siamo polvere” (Sal 103). La via proposta è il “timore di Dio”, l’opposto della ribellione adamitica. Certo: il cuore dell’uomo si spaura, quando prende consapevolezza del male che ha fatto e che abita in lui; ma, allora, il Salmista pronunzia alcune delle sue parole più belle: “Dal profondo a te grido, Signore; Signore, ascolta la mia voce … Se consideri le colpe, Signore, Signore, chi ti può resistere? Ma con te è il perdono … l’anima mia è rivolta al Signore più che le sentinelle all’aurora” (Sal 130).

              In tempi di grande angoscia, sembra che l’Interlocutore si sia nascosto o abbia voltato la testa dall’altra parte. E’ concesso, tuttavia, rivolgersi a lui con la più grande libertà: “Ci hai consegnati come pecore da macello, … ci hai resi la favola delle genti … Svegliati! Perché dormi, Signore? Destati, non respingerci per sempre! Perché nascondi il tuo volto, dimentichi la nostra miseria e oppressione?” (Sal 44). Fino al salmo della desolazione, il Salmo 88.

              Tutte le fibre del cuore umano sono fatte risuonare, come le canne di un immenso organo. L’ultima nota, l’ultima parola del Salmista è anche l’ultima parola di Gesù in croce, incredibile e indicibile atto di consegna: “Alle tue mani affido il mio spirito” (Sal 31,6). Gesù aggiunge solo una parola, che è anche l’estrema affermazione della speranza: “Padre” (Lc 23,46).

09 ottobre 2022                                                        don Giuseppe Dossetti