OMELIA IN GHIARA IN OCCASIONE DEL 25 APRILE 2018

Questa mattina ho incontrato un signore che mi ha raccontato come ha vissuto il 25 aprile del 1945. Mi ha detto: “C’era una grande gioia, di chi si sentiva finalmente libero. Le campane hanno suonato tutto il giorno …” Penso che davvero sia stato un giorno di grande gioia, per la liberazione da un regime inumano. Ha segnato la fine delle operazioni militari, almeno di quelle su larga scala in Europa. Ma, con un’attenzione più fine e con la consapevolezza che nasce dai tanti anni trascorsi, dobbiamo dire che si è trattato di unj momento, certo importantissimo, ma comunque di un momento di un processo che è continuato anche dopo e che continua ancora. Questa è la ragione, per la quale la data di oggi dev’essere un giorno di profonda riflessione e di sincerità.

Anzitutto, non si è passati in modo immediato dalla guerra alla pace. Consiglio la lettura di un libro di Victor Sebestyen, La guerra in tempo di pace, che descrive quanto è accaduto nel 1946: quanta sofferenza, quante violenze, quanti morti.

La pace richiede un esame sincero di se stessi e una profonda conversione del cuore. Non averlo fatto nel 1918, è stato all’origine di un secondo conflitto mondiale ancora più terribile.

Un esame sincero della guerra porta a una prima e dolorosa conclusione: alla fine, nessuno può dirsi completamente innocente; non lo possono neppure coloro che avevano il diritto e anche il dovere di resistere a un avversario feroce. La guerra ha meccanismi di corruzione terribili. Vorrei fare un esempio: i bombardamenti terroristici delle città tedesche e giapponesi. Era stata sviluppata una tecnica di concentrazione di un gran numero di bombe, che generavano una “tormenta di fuoco”, inarrestabile e letale. A Tokyo perirono centinaia di migliaia di persone, più che a Hiroshima. Le case erano in granj parte di legno e molti abitanti si gettarono nei canali per sfuggire all’incendio. Finirono letteralmente bolliti, tanto alta era diventata la temperatura dell’acqua.

Anche da noi, la violenza, gli odi e le vendette non cessarono con il 25 aprile.

Tuttavia, molti dei protagonisti di quei giorni divennero sempre più consapevoli che la guerra sarebbe veramente finita solo quando si fosse iniziato un cammino di riconciliazione e di purificazione della memoria e del cuore.

La nostra Costituzione ha voluto dire anche questo: essa è stata la rilettura della nostra storia e il tentativo di contrastare i germi della violenza e della sopraffazione dell’altro uomo. Ne è il sintomo l’impostazione “personalista”, cioè l’affermazione del valore assoluto del singolo e della sua appartenenza originaria a una comunità.

Ma il cammino non può interrompersi. Questa è la vera ragione per la quale siamo qui oggi. La domanda è sempre la stessa: quanto è puro il tuo cuore? Che cosa fai, per impedire che i germi di violenza, che sono presenti anche in te, si sviluppino con conseguenze distruttive?

Un’indicazione preziosa ce la dà la prima lettura della Messa di oggi. San Pietro scrive: “Rivestitevi tutti di umiltà, gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi ma fa grazia agli umili”.

Che cos’è l’umiltà? E’ prima di tutto la sincerità verso se stessi, l’onestà di riconoscere i nostri errori e i nostri difetti e, ancora di più, di riconoscere che, senza l’aiuto di Dio e senza una grande disciplina, noi potremmo fare le stesse cose che giustamente rimproveriamo agli altri.

L’umiltà è anche il riconoscere il proprio limite e il non confidare troppo nei nostri progetti, pensando invece a se stessi come a dei servitori, confidando nel progetto buono di Dio.

Umiltà è anche il sentirsi membri di una comunità, riconoscere il dovere della sincerità verso le persone che ci sono state affidate.

In una parola, umiltà è responsabilità: siamo responsabili, nel senso che dobbiamo rispondere, a Dio e agli uomini.

Se ci sentiamo padroni, è inevitabile che siamo spinti alla manipolazione delle coscienze. Allora, corrompiamo il cuore degli altri, ma, inevitabilmente, anche il nostro si corrompe.

Per questo, Dio si presenta a noi nell’immagine del Crocifisso. Dinnanzi a Gesù in croce, nessuno può dichiararsi innocente; ma, nello stesso tempo, sentiamo che il perdono ci viene offerto e così anche la libertà di essere uomini e donne di pace.

 

don Giuseppe Dossetti

 

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