232^ lettera alla comunità al tempo della conversione
Mi ha sorpreso l’intervento del vicepresidente degli USA, JD Vance, che ha invocato la teologia cattolica, per giustificare la cancellazione o la sospensione, da parte dell’amministrazione Trump, di quasi tutti i programmi di aiuti esteri degli Stati Uniti. Infatti, la “visione cristiana della carità sarebbe guidata dal principio dell’”ordine nell’amore”. Ha detto Vance: “Dovremmo amare prima la nostra famiglia, poi i nostri vicini, poi la nostra comunità, poi il nostro Paese e solo dopo considerare gli interessi del resto del mondo”. Gli ha risposto Stephen Pope, sulla rivista dei Gesuiti, America: “Il vicepresidente sostiene che dovremmo risolvere i nostri problemi interni prima di preoccuparci delle nazioni lontane e dei loro popoli. Molti americani sono d’accordo con questa visione e sembrano non preoccuparsi del fatto che molti di coloro che sostengono la politica della ‘carità inizia in casa’ sono felici che lì anche si fermi”.
Noi, eredi della separazione tra politica e religione, conseguente alla Rivoluzione Francese, rimaniamo sconcertati da questa irruzione della teologia nella politica e sentiamo odore di asservimento di Dio ai disegni dell’uomo. Una domanda, però, resta, quella che il dottore della Legge pone a Gesù: “Chi è il
mio prossimo?”((Lc 10,29). In altre parole, l’umanità viene divisa in cerchi concentrici, a seconda di una distanza dal centro, che sono io. Diversa è la mia responsabilità e diverso è anche il valore, il punteggio dei singoli: un palestinese di Gaza vale molto meno di un ebreo israeliano, e così un ucraino ha un valore più alto di un africano del Sudan. L’”ordine dell’amore”, predicato da Vance, ha un effetto rassicurante.
Gesù, però. risponde allo scriba raccontando la parabola del Buon Samaritano. Costui non fa l’analisi del sangue, né chiede documenti all’uomo ferito e lasciato mezzo morto sulla strada. Egli ne ha compassione e “gli si fa prossimo”, gli si avvicina, valica tutte le distanze, mosso unicamente dal dolore dello sconosciuto.
Ci sono due principi, che derivano direttamente dal Vangelo: l’uguale dignità di tutti gli uomini e la misura del dono, che ha come caratteristica di essere senza misura. Non si può partecipare a una Messa senza sentir risuonare le parole di Gesù, nell’ora suprema della sua consegna agli uomini, che vogliono
essere suoi discepoli: “Vi do un comandamento nuovo, che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,34s.). Certamente, noi cristiani non siamo coerenti in modo esemplare; tuttavia, è
meglio avere una cattiva coscienza piuttosto che una coscienza ingannata. Ci conforta però la parola di Gesù, che dice che il suo comandamento è nuovo. In che senso? Di amore al prossimo, ne hanno parlato in molti; la novità sta in una paroletta, “come”: amatevi come io ho amato voi. Questo “come” è certamente
comparativo; Gesù ci dà l’esempio dell’amore. Le parole dell’ultima Cena sono chiare; “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue, per voi; fate questo in memoria di me”. Ma la parola di Gesù va oltre: il “come” diventa “fondativo”, come la parola italiana “siccome”. Potete amarvi, perché io vi ho amati e vi amo. Questa è la novità: Gesù non è un maestro, non insegna nobili dottrine, ma comunica ai suoi discepoli una nuova possibilità. Prima della carità, viene la fede; prima dell’opera dell’uomo, viene l’opera di Dio.
Da queste parole di Gesù, deriva una conseguenza troppo spesso trascurata: il rapporto tra il tempo e l’eternità. Tante volte, noi parliamo e ci comportiamo come se tutto finisse con la nostra morte, vista come un cadere nel buio e nell’oblio. Ma l’eternità è entrata nel tempo, perché il tempo entrasse nell’eternità.
L’Ordo Amoris, l’ordine dell’amore, quello vero, consiste anzitutto nel chiedersi che cosa si ama. Per Natale, la Chiesa prega così: “Nel mistero del Verbo incarnato è apparsa agli occhi della nostra mente la luce nuova del tuo fulgore, perché conoscendo Dio visibilmente, per mezzo suo siamo rapiti all’amore delle realtà invisibili”. Ecco: questo è l’amore che genera speranza, che è inclusivo di ogni uomo, che conduce a essere costruttori di pace.
18 maggio 2025 don Giuseppe Dossetti