La pandemia del Covid-19 ci ha ricordato, in modo brutale, la fragilità del mondo e di ciascuno di noi. Noi finiremo e, secondo le religioni bibliche, anche il mondo finirà. Questo pensiero della fine delle cose è fonte di angoscia. Dice il Vangelo, a tale proposito: “Gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra” (Lc 21,26). Infatti, dal punto di vista dei millenni della storia dell’umanità, questa crisi è poca cosa; ma essa acquista tanta rilevanza e tanto influsso sulle nostre
coscienze proprio perché noi non accettiamo il nostro limite e abbiamo l’insopprimibile illusione di aver diritto all’eternità.

La Chiesa inizia in questa domenica il tempo di Avvento. Il messaggio che esso ci porta è suggestivo. Dio viene nella storia del mondo, assumendo, senza privilegi e senza clangore di trombe e sensazionali avvenimenti, la condizione umana, fino a condividere, un giorno, la morte dell’uomo.
Giovanni Pascoli descrive così il sentimento di Maria nel suo colloquio con i pastori: “…Un figlio dell’uomo era, ma era/ quale d’agnello. Esso giacea nel fieno/ del presepe, e sua madre, una straniera,/ sopra la paglia. Era il suo primo, e il seno le apriva; / … Nella capanna povera le sue/ lagrime sorridea sopra il suo nato, / su cui fiatava un asino ed un bue./ — Noi cercavamo Quei che vive… – entrato/ disse Maath. Ed ella con un pio/ dubbio: Il mio figlio vive per quel fiato…/ — Quei che non muore… — Ed ella: Il figlio mio/ morrà (disse, e piangeva su l’agnello/ suo tremebondo) in una croce…

Se questo è il prezzo che un Dio paga, vuol dire che questo mondo e questo uomo sono importanti per Lui. Non invita certo all’indifferenza e all’inerzia di fronte alla causa del povero o alla ricerca degli strumenti per promuovere la salute. Nello stesso tempo, però, c’è un fine ulteriore, la comunione con Lui, questa sì eterna. Nell’antica letteratura cristiana ricorre la formula: “Il Figlio di Dio si è fatto uomo, perché l’uomo diventi figlio di Dio”.

Vale dunque l’esortazione di sant’Agostino: “Canta e cammina”. Cammina, perché la tua patria è nell’eternità; ma canta anche, perché già adesso il tuo Signore è con te, anzi, è in te. Infatti, non è possibile credere in una vita eterna, se non ne facciamo l’esperienza fin da adesso. Se la sperimentiamo, se la gustiamo, il passaggio sarà senza rimpianti. Come è possibile questo? E’ tutto scritto: per esempio, nel vangelo di Luca, Gesù dice: “State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso … Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire
davanti al Figlio dell’uomo” (21,34.36). Dunque, anzitutto la disciplina, come condizione di libertà, perché il cuore sia leggero e capace di leggere la storia con gli occhi della speranza. Poi, la preghiera, come dialogo con una Presenza intima a noi. E infine, la carità, come suggerisce l’apostolo Paolo: “Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti, come sovrabbonda il nostro per voi, per rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità, davanti a Dio e Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi” (1Tess 3,12s.). Il cuore diviene saldo grazie alla preghiera e alla carità, all’amore concreto. In questo modo, il viandante abita già nella patria.

Operare la carità è possibile anche a chi fa fatica o, addirittura, non riesce a credere. Il divino Giudice dirà: “Tutto quello che avete fatto al più piccolo di questi miei fratelli, l’avete fatto a me”. E la preghiera? Credo che il cuore di ogni uomo assomigli all’altare che sorgeva ad Atene, dedicato “al dio
ignoto”. La ricerca onesta ci riempirà di pace. Rinunciamo alle ideologie, anche a quelle religiose, e lasciamo che ci parli, nel silenzio, quella Parola che si è fatta carne, la carne di quel Bambino.

28 novembre 2021                                                            don Giuseppe Dossetti