Diciottesima lettera alla comunità al tempo del coronavirus
Il Vangelo di questa domenica ci esorta a non essere pessimisti. C’è un seminatore, apparentemente non molto abile, che semina dappertutto: strada, sassi, siepe di spine, finalmente anche nel terreno buono. Alla fine, però, i conti tornano: il raccolto eccezionale compensa le perdite della semina.
Probabilmente, il racconto di Gesù è autobiografico. Sembra che la gente gli chieda, come mai, se lui è il Messia, ci sia così poca corrispondenza da parte del popolo e dei capi; e come mai egli perda tempo con i “peccatori”, davvero terreno sassoso.
Ma, in questo racconto, c’ è anche la nostra autobiografia spirituale: facciamo fatica ad essere fedeli a ciò in cui crediamo, quando costa sacrificio; e ci rivediamo nella semente soffocata dalle spine, che rappresentano “le preoccupazioni del mondo e la seduzione della ricchezza”.
Il divino Seminatore non si stanca: corre il rischio del fallimento, ha fiducia nella bontà del seme, ci esorta a non tirare le somme troppo presto. Fuori di metafora, ci esorta a non lasciarci andare al pessimismo. Mai come oggi, in tempo di coronavirus, questa esortazione è più attuale, ma anche più difficile da accettare.
Siamo in un momento particolare e difficile, nel nostro rapporto con la pandemia. Eravamo convinti che i sacrifici di questi mesi fossero stati sufficienti: addirittura, ciascuno di noi si era fatto un suo calendario, per il ritorno alla “normalità”. Quello che appare evidente, oggi, è che il morbo non si sta fermando, a livello mondiale, e che dovremo abituarci al prolungamento delle limitazioni, all’incertezza per il lavoro, alla distanza da tante persone che amiamo. Dovremo affrontare un ignoto di durata imprevedibile.
E’ probabile che in alcuni aumenti lo scoramento e in altri la rabbia. Il rischio molto concreto è che le persone diventino più insofferenti e anche meno sensibili alle sofferenze altrui.
Avremo bisogno di pazienza, generosità e tenacia.
Anzitutto, pazienza. Ci aiuta l’immagine del seminatore, che ha fiducia nella forza del seme, nella sua capacità di germogliare anche nel terreno sassoso. Il terreno non può cambiare, ma gli uomini sì. La pazienza è un investimento, che normalmente si rivela efficace. Avremmo voglia di rispondere per le rime a un atteggiamento aggressivo: tante volte, esso è espressione di sofferenza e di paura. Una parola gentile può disarmare e liberare.
Poi, è necessaria la generosità. In questi mesi, ne ho vista tanta. Ringrazio tutti coloro che non si sono chiusi nella loro capsula, ma hanno pensato al bene comune e in particolare a chi era in difficoltà. I prossimi mesi ci presenteranno situazioni difficili, che potremo affrontare meglio se la nostra generosità sarà comunitaria, se coinvolgerà cioè la famiglia, le amicizie, la scuola, la parrocchia: i nostri bambini non dovranno sentire da noi parole impietose, piene di giudizio e di rancore, ma piuttosto e prima di tutto la gratitudine per quello che abbiamo e la sensibilità per quelli che non hanno il necessario.
Infine, abbiamo bisogno di tenacia. Questa crisi durerà a lungo ed essendo mondiale non ci sarà un altrove dove rifugiarci. Questa dell’altrove è un’illusione pericolosa. Non ci sono spazi franchi, né rave party per i giovani o isole delle Maldive per gli adulti. Dobbiamo restare al nostro posto e fare il nostro dovere. Anche la fede sarà sollecitata alla tenacia. Riprendere la partecipazione all’Eucaristia, accettando le regole dei protocolli; darsi un piccolo programma di preghiera, personale e comunitaria, con il Vangelo e il Rosario; accompagnare i piccoli nel loro cammino verso i sacramenti: tutto questo non sarà facile, ma ne varrà la pena.
Il Seminatore ce lo dice. Alla fine, il raccolto ci sarà e sarà molto più ricco della fatica che avremo fatto. Si compiranno le parole del Salmo 126: “Chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia. Nell’andare, se ne va piangendo, portando la semente da gettare, ma nel tornare viene con gioia, portando i suoi covoni”.
12 luglio 2020
don Giuseppe Dossetti