Quindicesima lettera alla comunità al tempo del coronavirus
Il Signore Gesù esorta i suoi discepoli a “dire nella luce”, ad “annunciare sui tetti” il vangelo e, nello stesso tempo, predice loro persecuzioni e persino la morte violenta.
Ci si chiede il perché di questa ostilità e, spesso, il cristiano vorrebbe essere meno esposto: non è sufficiente comportarsi bene, essere brave persone? La protesta investe anche il Fondatore, al quale si rivolge la domanda, come mai pretenda dai suoi tanta esposizione.
Dobbiamo riconoscere che il cristiano è un rompiscatole, prima ancora che per quello che fa o dice, proprio per il titolo che porta: discepolo di Gesù Cristo. Anche volendolo, il cristiano non può restare nascosto, finchè non rinnega questo marchio, che il Battesimo gli ha impresso.
Nei giorni che ci aspettano, probabilmente, vedremo verificarsi questo fenomeno, apparentemente inspiegabile. Basti pensare alla frase pronunziata da Papa Francesco in quel famoso venerdì: “Non si può vivere sani in un mondo malato”. Il “mondo” non accetta e tanto meno accetterà questa diagnosi di malattia. Persino gli sforzi e i successi nella lotta al virus verranno usati come prova della sua capacità di autocurarsi.
Il cristiano è scomodo, perche colpisce la pretesa di Adamo, di essere il dio di se stesso. Anzitutto, egli vede l’origine del male dentro all’uomo. Il male non è il virus, ma l’egoismo, la violenza, la brama di denaro. In secondo luogo, egli afferma che la medicina ha un nome, “grazia”, cioè il perdono gratuito a chi umilmente lo chiede: siamo dei malati cronici e c’è un asservimento al male che solo il Buon Samaritano può curare. La via della libertà sta nell’affidarsi a lui. Questo è molto di più del seguire i suoi insegnamenti: è la via “sacramentale”, cioè l’incontro personale, fisico, che ha la sua massima espressione nell’Eucaristia.
La grazia sostiene il cammino della nostra conversione; la conversione libera i nostri occhi dalle incrostazioni delle nostre passioni, dà lucidità al nostro pensiero.
Ancora una volta, il Papa ci dice chiaramente quali sono gli ambiti di questa conversione: la guerra, l’abuso del creato, la violenza e, matrice di tutto, l’avidità di denaro.
Ora, a noi cristiani non solo compete il denunciare queste forme di idolatria, ma anche l’avere comportamenti coerenti. Si tratta di qualcosa che va oltre una sana moralità, proprio perché essi toccano l’essenza del vangelo. Per questo, sono così dolorose le cadute di uomini di Chiesa, soprattutto in materia di denaro: esse ribaltano sulla Chiesa l’accusa di ipocrisia. Tutto però può essere sanato dall’umiltà, dalla sincera ammissione delle nostre colpe, dalla riparazione operosa e, soprattutto, dal riconoscimento della radice del male, il non aver ascoltato la parola di Gesù: “Rimanete in me, perché senza di me non potete fare nulla” (Gv 15).
“Tutto è possibile a colui che crede”, dice Gesù al papà di un ragazzino ammalato (Mc 9,23); la risposta del padre è una delle frasi più belle del vangelo: “Io credo, Signore; aiuta la mia incredulità”.
Noi conosciamo le vie della testimonianza: la mitezza e il rifiuto della violenza nei rapporti con gli altri; la castità, come custodia del cuore e libertà dallo sguardo che umilia e violenta l’altro; il disinteresse e la ricerca sincera del bene comune.
Sono vie difficili. Ma questa è la via della testimonianza da rendere a Dio, questa è la forma dell’uomo nuovo, che Gesù costruisce in noi. Non ci peserà il sacrificio e neanche la persecuzione, se questo cammino ci porterà ad essere degni di lui.
21 giugno 2020
don Giuseppe Dossetti