E’ molto interessante il confronto tra la visione del tempo che hanno gli Ebrei e quella dei Cristiani. Esse coincidono su diversi punti. Anzitutto, c’è un’origine: per gli Ebrei, il principio è la creazione del mondo: “In principio, Dio creò il cielo e la terra”, sono le prime parole della Bibbia (Gen 1,1). Il vangelo di Giovanni le fa eco: “In principio era il Verbo” (Gv 1,1). La differenza sta nella dimensione dell’attesa: il Messia deve ancora venire, per gli Ebrei. Anche per noi Cristiani deve ritornare, alla fine dei tempi, ma colui che tornerà nella gloria è colui che è già venuto nell’umiltà del presepio ed è presente in mezzo a noi, in particolare nell’Eucaristia.

              Voglio però insistere sulla somiglianza. Per noi, come per i nostri fratelli maggiori, la storia nasce da una decisione di Dio, da una sua Parola, in latino, da un suo Verbo. La prima Parola è  creatrice: “Dio disse: Sia la luce. E la luce fu”(Gen 1,3). Altrettanto creatrice fu la parola rivolta ad Abramo, perché l’uomo venne costituito interlocutore di quel Tu che irruppe e occupò la sua vita, con un’inflessibile volontà di comunione. Il “peccato” consiste nel separarsi da questa luce, rifiutare questa comunione, ricadendo quindi nella tenebra, nell’insignificanza, nel nulla. Tuttavia, la Parola continua ad essere pronunciata, la storia continuamente ricomincia, perché, inspiegabilmente, l’uomo è prezioso per il suo Creatore.

              Ed ecco la differenza. Per noi Cristiani, la storia è giunta al suo compimento: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna”, scrive san Paolo (Gal 4,4). La decisione di Dio prende la forma dell’incarnazione e del sacrificio della Croce. La storia è giunta alla sua fine, perché ha raggiunto il suo fine, l’incontro, l’abbraccio, la comunione. Il tempo continua, certo, verso la manifestazione ultima dell’Agnello immolato; ma esso serve a dilatare l’offerta della salvezza, a tutti gli uomini, a tutte le realtà umane.

              Dobbiamo però leggere con sapienza il nostro tempo. La parola “pienezza del tempo” sembrerebbe evocare ordine, armonia, pace. Sappiamo bene che non è così. Alla presenza di Dio si oppone un’altra presenza, quella delle tenebre, che si oppongono alla luce: “La luce splende nelle tenebre”, dice san Giovanni, “ma le tenebre non l’hanno vinta” (Gv 1,5). Il conflitto è scontato e ciascuno di noi deve prendersi la responsabilità di viverlo: “Non meravigliatevi della persecuzione che è scoppiata in mezzo a voi, per mettervi alla prova, come se vi accadesse qualcosa di strano”, scrive san Pietro (1Pt 4,13).

              Voglio richiamare un aspetto del conflitto al quale siamo chiamati. Il male, la tenebra, si camuffano e mettono in opera meccanismi di seduzione. Lo si vede bene, quando si considera la guerra. La guerra in Ucraina non è purtroppo un caso isolato, ma è esemplare. Ogni guerra è una bestemmia: ma questa lo è in particolare, perché viene chiesto a Dio di schierarsi in un conflitto tra cristiani e lo si prega per meglio uccidere il fratello.

              “La luce splende nelle tenebre”: il rischio della menzogna è davanti ai nostri occhi. Ci sia concesso di non essere ciechi o rassegnati. Sia chiaro il pericolo: quando una guerra diventa “santa”, essa finisce quando tutte e due le parti si esauriscono, quando l’incendio non ha più nulla da bruciare. Un esempio lo è stata la prima Guerra Mondiale. Anche nella guerra attuale, il rischio è quello di uno scivolamento progressivo e irresistibile verso forme sempre più mortifere di conflitto. Un aspetto della seduzione è quella cui rischiano di soggiacere gli uomini di buona volontà, una rassegnata complicità nei confronti del male.

              E’ necessaria una corale invocazione dello Spirito Santo, spirito di libertà e di verità. Ciascuno lo preghi come può e come vuole Riconoscere la propria povertà è già un passo verso la pace.

01 gennaio 2023                                                              don Giuseppe Dossetti