Di fronte alle sofferenze, alla guerra, alle ingiustizie, chiediamo alle guide spirituali del mondo, che cosa possiamo fare. La risposta che ci viene data è quasi sempre l’invito a pregare. Rimaniamo spesso insoddisfatti, perché queste parole ci sembrano una dichiarazione di impotenza, una banalità: che altro potrebbero dire il Papa o un bravo parroco? Con le buone maniere, viene detto esplicitamente da alcuni e pensato da molti, che la pace deriva dalla forza. Gesù appare come un mite sognatore e la sua comunità è tentata di smentire con i fatti quello che pure è costretta ad annunciare al mondo. Non si tratta di ipocrisia, ma, piuttosto, di un doloroso conflitto, di uno sgretolamento della fede in un Dio che, pure, vuole essere chiamato Padre e Signore della storia.
Gesù stesso vive questa dissociazione tra la sua fede e l’apparente lontananza e assenza di Colui che lo ha inviato ad annunciare il Regno: lo vediamo sudare sangue, nell’agonia dell’Orto degli Ulivi. Umanamente parlando, il suo è un fallimento e il regno di Dio un’utopia. Eppure, quello che lui fa, in questo momento supremo, è proprio di pregare e di esortare a questo anche i suoi discepoli: ”Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione ”Mc 14,37).
Qualche lume lo otteniamo da una piccola parabola, che si trova nel vangelo di Luca (18,1-8) e che Gesù racconta, per esortare a “pregare sempre, senza stancarsi mai”. C’è una povera vedova che è in lite con un avversario, ma il giudice è corrotto; alla fine, però, le rende giustizia, per togliersi d’attorno questa fastidiosa insistenza, “perché non venga continuamente a importunarmi”.
Mi colpiscono due particolari della parabola. Anzitutto, l’oggetto della richiesta della vedova importuna: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Questa richiesta corrisponde alla nostra situazione: Dio sembra assente, sembra disinteressarsi dei suoi,: forse non solo non vuole, ma neanche può cambiare il corso della storia. Questa è la grande tentazione, dalla quale preghiamo, nel Padre Nostro, di essere liberati: non abbandonarci alla tentazione di rinnegarti, di aderire alla logica del mondo.
Ma la parabola mi è preziosa soprattutto per un’altra ragione. Con l’ardire che troviamo in tanti testi della Bibbia, Dio viene paragonato a un giudice corrotto, anche se siamo esortati a credere che la storia finirà bene; ma intanto c’è il buio della notte della fede. Chi rappresenta la povera vedova? Ricordiamo che a quei tempi non c‘erano lo stato sociale, la pensione, il servizio sanitario. Le vedove erano in fondo alla scala ed erano fortunate se la famiglia riusciva a sostentarle, sempre però mantenendole al gradino più basso. Per questo, gli apostoli prescrivono ai discepoli, tra gli obblighi di coscienza, di provvedere alle vedove (per es., 1Tim 5,3-16). La vedova è immagine della Chiesa, perché vive l’esperienza della privazione del suo Sposo, il Cristo. La sua richiesta è semplice: “Fammi giustizia!”. Non ha richieste particolari, perché ha bisogno di tutto. Invece, quando noi preghiamo, sembra spesso che vorremmo suggerire a Dio che cosa dovrebbe fare o come possa aiutarci nei nostri progetti, che ci appaiono così belli, senza accorgerci che, così facendo, trasformiamo Dio in un idolo, che dovrebbe essere al nostro servizio. Per questo, penso che il momento che stiamo vivendo, pur così doloroso, sia un a grande purificazione, che lo Sposo sta operando n ella sua Chiesa. Ci chiede di rinunciare ai programmi, per aderire ai progetti di Colui che è Padre, ma che ci dice: “Ii miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri” (Isaia 55,8s.). Certo, non siamo esortati all’ozio, ma a quella mitezza, che è anche azione, della quale il Patriarca Pizzaballa ha detto recentemente: “Certo, questo tempo sembra essere il momento della violenza, del dolore e della forza, ma i miti, che per loro natura non fanno chiasso, ci sono. Ecco, noi vogliamo appartenere ai miti e assieme a loro, a tutti i miti di tutte le appartenenze possibili, assieme a loro poco alla volta creare quel tessuto sul quale, poco alla volta, poi si potrà ricostruire il futuro. E’ la mia speranza”.
19 ottobre 2025 don Giuseppe Dossetti