Herbert Mc Cabe, uno scrittore domenicano, una volta scrisse che “il compito della Chiesa… è quello di ‘ricordare’ il futuro. Non solo ricordare che ci deve essere un futuro, ma misteriosamente rendere il futuro realmente presente”. Questo è ciò che il Natale fa per noi, cioè indica un momento in cui il futuro diventa presente, in cui l’eternità entra nel tempo.

La genealogia di Gesù Cristo sia di San Matteo che di San Luca dimostra questo rendere presente quella eternità futura nella fragilità dell’esistenza umana. Siamo riuniti per replicare sia la serietà contemplativa di Maria, Giuseppe e dei re d’Oriente sia l’eccitazione e le gioie del pastore che per primo vide l’eternità in una mangiatoia.

Allora, lasciatemi mettere da parte ogni dolore e preoccupazione di un altro anno di lotta contro il Covid-19 per augurare a tutti noi un buon Natale!

Infatti, vediamo nella celebrazione del Natale una potente ispirazione di come andare avanti dalle rovine della pandemia che non è ancora finita. Vediamo aumentare le donazioni di carità, ci riuniamo con le nostre famiglie e gli amici, per socializzare (cosa che è diventata difficile per ovvi motivi, e ci sentiamo più soli che mai). Ma, nel riconoscere la nostra umanità in una nuova luce, in particolare come un dono reso possibile attraverso Cristo grazie al quale vediamo noi stessi nell’altro. Questo dovrebbe motivarci a rinnovare i rapporti reciproci e gli obblighi sociali. Perciò lo accogliamo e lo celebriamo per quello che è, un richiamo all’amore, alla speranza all’interno di una vecchia stalla rovinata che è il nostro mondo di oggi.

Questo invito è per tutti, ricchi e poveri. I poveri pastori sono invitati nella loro povertà e semplicità mentre i ricchi Magi sono chiamati nella loro scienza e raffinatezza. Entrambi appartengono alla storia della natività e al presepe che San Francesco ci ha insegnato a fare. Qui si celebra la nostra imperfezione, come sottolineava Frank Cottrell-Boyce, e quindi l’uguaglianza e l’inclusione perché ricchi e poveri, santi e peccatori hanno ricevuto il Dono rivelatore avvolto in panni bianchi adagiati nella mangiatoia. Questo Dono chiamato Cristo è la base dell’unione, delle relazioni risanate con la famiglia e gli amici.

Allora, con tutto quello che il Natale può significare per ognuno di noi, il centro è che è il fondamento della nostra fede e il grande evento che ci ha dato la speranza e una ragione per fidarci del progetto di Dio su di noi. Perciò, metto in evidenza questa preghiera del nostro parroco, don Dossetti, come anche la mia preghiera: “Io chiedo per me tre doni. Anzitutto, una grande fiducia: cedere allo scoramento, sarebbe la più grave bestemmia, sarebbe come ripetere le parole dello “stolto”, secondo il Salmo 14: “Dio non c’è”, nel senso che non può fare nulla, non può cambiare il corso degli eventi: “Voi volete umiliare le speranze del povero, ma il Signore è il suo rifugio”. Il secondo dono è la pazienza, anzi, l’ostinazione: ostinazione nel cercare il bene che è nell’uomo, ostinazione nel compiere il mio dovere, ostinazione nel costruire comunità tra le persone. Il terzo dono è uno sguardo puro, che sappia vedere il male con sincerità ma senza scoraggiarsi e, soprattutto, che sappia vedere il bene e renderne gloria a Dio.

Dunque, per quanto gli eventi recenti ci abbiano spinto ad arrabbiarci con Dio e a mettere in dubbio la sua presenza, dobbiamo ricordare che l’ingresso di Cristo nella nostra vita come la grande luce ci ha illuminato e trasformato nei doni che desideriamo. Siamo diventati il Regno di Dio reso presente attraverso il concepimento e la nascita di Cristo. Andate là fuori e fate del bene.

Buon Natale a tutti! don Anthony