“IL SANGUE DELL’AGNELLO”


202^ lettera alla comunità al tempo della conversione

Nelle scorse due settimane, abbiamo udito Gesù esortare alla fede. Lo ha fatto per gli apostoli, smarriti nella tempesta, per la donna malata e per i genitori della bambina morta. Ma non sempre le cose vanno così lisce. In particolare, egli trova incomprensione e ostilità proprio a Nazaret, dove tutti lo conoscevano e dove vivevano i suoi parenti. Addirittura, verrà il momento in cui penseranno di lui: “E’ fuori di sé!”((Mc 3,21). In realtà, ci meraviglia la meraviglia di Gesù: “Si meravigliava della loro incredulità” (Mc 6,6). Cosa faremmo noi, se il nostro idraulico si mettesse a fare miracoli e se la giornalaia si mettesse a raccogliere discepoli? La Chiesa è molto severa e guardinga, nell’autenticare apparizioni e messaggi.

               Dovremmo però ricordare che siamo in terra d’Israele, dove non mancavano le cautele nell’accreditare profezie, ma c’era anche la certezza che il Dio di Abramo voleva essere vicino al suo popolo. I profeti erano coloro che accompagnavano e interpretavano questa presenza, e la loro mancanza era subita come un castigo. L’autenticità della profezia era dimostrata dal suo contenuto; la vita del profeta la confermava. I segni straordinari non erano richiesti, basti pensare al grande profeta Geremia.

               Il messaggio di Gesù è quindi conforme alla tradizione e alle promesse, che formavano la speranza d’Israele. Perché dunque non gli credono e lo respingono? A mio parere, ci sono due motivi.

               In primo luogo, un Dio vicino è una bella cosa, basta che non sia troppo vicino. In tal caso, egli chiede la “conversione”, cioè una continua e sincera messa in discussione di se stessi. Il rifiuto dipende da un inquinamento pagano di questo rapporto: meglio lo scambio, tra la protezione divina e gli atti di culto. Come è importante che la Chiesa riconosca e eviti il pericolo di lasciarsi coinvolgere in queste transazioni! La pratica della religione non garantisce la fede.

               Così, siamo al secondo punto, quello più delicato. Che il falegname di Nazareth si metta a fare il profeta, è già un evento singolare, anche se poco tempo prima c’era stato il precedente di Giovanni il Battista, da tutti riconosciuto come profeta. Nel caso di Gesù, però, chi lo incontra avverte qualcosa di più. Ci sarà un momento, nel quale la coscienza che egli ha di sé verrà allo scoperto, almeno nella cerchia dei discepoli. Pietro lo dirà apertamente: “Tu sei il Cristo” (Mc 8,29). In  altre parole, Gesù chiede una decisione non sul suo messaggio soltanto, ma sulla sua persona. Nel vangelo di Giovanni, nell’ora della verità, nell’ultima cena, dirà: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre (cioè a Dio) se non per mezzo di me” (Gv 14,6). Il suo messaggio e la sua persona si identificano; infatti, la richiesta che egli rivolge, è una sola, “Seguimi!”

               Perché questa richiesta è pesante, onerosa? Perché non ci si può fermare, non ci si può mettere a sedere per tirare il fiato. Ma chi ama, non lo vorrebbe. Maria Maddalena, Matteo il pubblicano, lo stesso Pietro, dopo la sua conversione, trovano in Gesù il senso della loro vita.

               L’invito che Gesù fa a seguirlo ci costringe a essere sinceri. Siccome le guerre si basano sulla menzogna, il discepolo diventa uomo o donna di pace, perché non pretende di aver ragione, ma cerca il bene comune. Inoltre, egli viene incoraggiato, perché  non è solo. Chi lo invita a seguirlo, dice anche, “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).

               Ci può essere il momento del buio. Concludo, allora, con una preghiera di Dietrich Bonhoeffer, il martire della resistenza tedesca al nazismo: “C’è buio in me, in te invece c’è luce;/sono solo, ma tu non m’abbandoni;/ non ho coraggio, ma tu mi sei d’aiuto;/ sono inquieto, ma in te c’è la pace;/ c’è amarezza in me, in te pazienza;/ non capisco le tue vie, ma tu sai qual è la mia strada”.

 

07 luglio 2024                                                                            don Giuseppe Dossetti