159^lettera alla comunità al tempo del coronavirus, della guerra, del terremoto e dell’alluvione.

La guerra è, per la Chiesa, la più grande tragedia e la minaccia alla sua sopravvivenza. Ancora una volta, richiamo ciò che è avvenuto durante e dopo la prima Guerra Mondiale. Anzitutto, fu allora che andò in crisi il principio di autorità. Chi aveva vissuto nella melma e nel sangue delle trincee, non poteva più fidarsi di chi mandava a morire migliaia di uomini, per conquistare pochi metri di terreno, che, il più delle volte, veniva riconquistato dal nemico. Si critica tanto l’individualismo moderno: io penso che le sue radici stiano proprio nell’esperienza della guerra. Oppure, all’autorità derivante dal prestigio della ricerca sincera del bene comune, si preferì consegnarsi alle lusinghe di un autoritarismo idolatrico.

              La Chiesa venne usata per dare un senso sacro alla guerra. Purtroppo, questa distorsione si è ripetuta molte volte, anche in anni recenti, e si sta verificando anche nel presente conflitto. Io capisco i motivi, per i quali si resiste a un ingiusto aggressore: ma va detto chiaramente che il prezzo, col passare del tempo, sta diventando e diventerà sempre più alto. La guerra, soprattutto quella moderna, ha meccanismi intrinseci che la portano ad essere sempre più “totale”, a coinvolgere sempre più intimamente non solo i comportamenti, ma le coscienze, così che ci si ritrova ad approvare ciò che poco tempo prima era considerato impossibile e censurabile.

              Tuttavia, per la Chiesa, c’è un pericolo ancora più mortale, e attinente alla sua stessa essenza. Lo vide e lo descrisse con ammirevole sincerità il papa Benedetto XV, per esempio nell’enciclica Pacem Dei munus del 23 maggio del 1920. La guerra era finita e si trattava di ricostruire; ma il Papa metteva in evidenza la necessità di sgombrare le macerie spirituali, combattendo contro una mentalità di guerra e di vendetta. Scriveva: “(se non si depone la mentalità di guerra), ne verrebbe gravemente colpita la stessa vita cristiana, che è essenzialmente fondata sulla carità, tanto che la stessa predicazione della legge di Cristo è chiamata ‘Vangelo di pace’”. Quando non si accetta il paradosso evangelico della pace, come si possono predicare i paradossi del perdono, della generosità verso tutti, della vita vissuta come vocazione? Anche l’Eucaristia perde la sua forza e rischia di diventare un rito tribale, l’incontro con coloro che io decido essere i miei amici. Viene svuotata l’enormità del dono: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue, per te”.

              Penso che la ricostruzione debba partire di qui, da una visione “eucaristica” dell’uomo. Senza quel dono, come si possono immaginare il perdono, la deposizione del desiderio di vendetta, il riconoscimento della nostra e altrui dignità, il desiderio sincero del bene comune?

              La guerra attuale è stata presentata da tutti gli attori, in maniera più o meno esplicita, come la “difesa” di valori non negoziabili. Tutti dovremmo meditare sulle parole dell’apostolo Giacomo: “ Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra!” (Gc 4,1s.). C’è una guerra doverosa, ma è quella contro noi stessi, contro i nostri vizi e i nostri egoismi, contro le nostre divisioni. Come si comporteranno le Chiese, quando le armi (speriamo presto) taceranno? Rileggiamo  la lettera di papa Benedetto al cardinale di Parigi (7 ottobre 1919): “L’amore per il prossimo … si deve estendere a tutti gli uomini, anche ai nemici, dal momento che noi tutti siamo uniti da un vincolo fraterno in quanto figli dello stesso Dio e redenti dallo stesso sangue di Gesù Cristo … Sappiamo in realtà che questo precetto di Cristo Signore non piace al mondo, al punto che coloro che ne affermano e ne difendono il valore sacro vedono le proprie intenzioni fatte oggetto di interpretazioni malevole e di ogni sorta di ingiurie … Diversa sorte toccherà mai a chiunque predicherà il perdono delle offese e l’amore verso chi ci avrà fatto del male o avrà assalito la nostra patria. Tuttavia le offese dei malvagi non devono distogliere alcuno dall’osservare e dal sostenere questo così importante precetto evangelico”.

25 giugno 2023                                                                                     don Giuseppe Dossetti