“RELIGIONE E VIOLENZA” – 171^ lettera alla comunità al tempo della conversione


Tenterò, in questa e nelle prossime settimane, di affrontare un tema che mi sta a cuore e, insieme, mi imbarazza: il rapporto tra religione e violenza. Forse, nutrivamo un certo senso di superiorità rispetto, per esempio, all’Islam, di fronte alle varie manifestazioni di fondamentalismo, anche omicida; oggi, però, la guerra in Ucraina ci costringe a guardare in casa nostra. Si tratta di una guerra tra cristiani, nella quale l’invasore ha ricevuto ampie benedizioni dalle autorità religiose del suo paese. Ma anche noi, che partecipiamo alla difesa del popolo ucraino, non ci sentiamo a nostro agio nella categoria della “guerra giusta” e ci chiediamo se non esista un’alternativa allo scivolamento rassegnato verso una violenza che vada oltre ogni limite. Ci inquieta il silenzio di Dio, o meglio ancora il silenzio su Dio, come se vivessimo in un regime di sospensione della fede.

              Mi tocca sempre il cuore il fatto che Gesù sia stato rifiutato e crocifisso da uomini religiosi, che hanno cercato, senza imbarazzo, l’alleanza con l’autorità romana, quella stessa che essi erano abituati a maledire. Come mai, questo rifiuto? C’è una piccola parabola, che Gesù racconta nel vangelo di Matteo (21,28-32), e che ci fa dire, in modo un po’ irriverente, che lui non ha fatto niente per evitare questo rifiuto.

              “Un uomo aveva due figli”. Facciamo attenzione a questo inizio, che è lo stesso della parabola del figliol prodigo. Il padre chiede al primo di andare a lavorare nella vigna, ma il ragazzo risponde: “Non ne ho voglia”: un rifiuto netto, da adolescente capriccioso; ma poi si pente, e ci va. L’altro è un bravo ragazzo e dice subito di sì alla richiesta del padre: ma quel giorno non ne ha voglia e non ci va. “Chi dei due ha fatto la volontà del padre?”, chiede Gesù. “Il primo”, rispondono naturalmente i suoi interlocutori, che sono i capi del popolo, osservanti la Legge, uomini pienamente religiosi, appunto. La replica di Gesù è bruciante: “In verità, io vi dico: i pubblicani (cioè i ladri) e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio”. Ma come si permette costui di offenderci, affermando che Dio ha preferenze per gente equivoca e impura?

              Gesù ha toccato un nervo scoperto: ha messo in discussione il principio del merito, che si consegue osservando la Legge. Ha squarciato il velo della rispettabilità. La legge è buona, la moralità è apprezzabile: ma essa non precostituisce un diritto e non garantisce che venga il giorno in cui siamo chiamati a una risposta che ci incomoda, che rimette in discussione la nostra vita, come se tutto dovesse ricominciare da capo. Un po’ è veramente così, perché  la risposta la troviamo non nei libri e nei codici, ma nell’incontro con questo Padre imprevedibile ed esigente.

              I ladri e le prostitute, come mai sorpassano gli osservanti la legge? Ovviamente, Gesù non approva il ladrocinio e la prostituzione. Ma forse proprio l’esperienza del male commesso abbatte le difese e rende questi uomini e queste donne più disponibili ad accogliere il messaggio del Regno, la misericordia di un Dio, che vuole essere chiamato Padre. Certo, dovranno cambiare vita e “andare a lavorare nella vigna”, ma, come gli operai dell’ultima ora (ne abbiamo parlato la volta scorsa), sostituiscono al diritto la gratitudine.

              “Un uomo aveva due figli”. Il loro comportamento non è irreprensibile, ma essi sanno, almeno in un piccolo angolo del loro cuore, di essere amati. E’ vero, che l’appello di Dio ci mette, qui e ora, di fronte a una decisione; ma è altrettanto vero, che ogni storia umana può ricominciare, che nulla è perduto, perché, appunto, “il Figlio dell’Uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto” (Lc 19.10).

              La guerra ci fa sentire nudi e poveri. Potrebbe essere un bene, potrebbe orientarci a vincere l’idolatria, che sta dietro ogni violenza. Può trattarsi di un segno anche per chi non è direttamente coinvolto. Infatti, il Padre può averci rivolto un’altra richiesta, nella vita familiare o lavorativa o nel nostro modo di stare nella comunità cristiana. Accogliere l’invito del Padre celeste può farci diventare più buoni e ci fa portare un piccolo mattone alla ricostruzione della pace.

01 ottobre 2023                                                                                              don Giuseppe Dossetti